Il design giapponese del XX secolo: dalla tradizione al modernismo

Quando pensiamo al design giapponese, ci vengono in mente alcuni oggetti emblematici come la bottiglia di salsa di soia Kikkoman (Kenji Ekuan), il walkman Sony, che alla fine degli anni Settanta ha rivoluzionato il modo di ascoltare la musica e ha invaso il mercato americano ed europeo, o ancora i prodotti high-tech. Tuttavia, il design giapponese non si limita ai soli aspetti materiali e funzionali. All'inizio del XX secolo, era radicato nella tradizione artigianale profondamente radicata nella cultura del Paese, prima di assimilare gradualmente le tecniche occidentali, combinando infine eredità e modernità, prima di diventare esso stesso avanguardia.

I primi architetti e designer giapponesi moderni avevano una cosa in comune: venivano in Europa per formarsi con i grandi maestri occidentali. Con il Bauhaus in particolare, l'Europa ribolliva di nuove idee. Verso la fine degli anni Venti, due grandi figure giapponesi considerate tra i pionieri dell'architettura e dell'urbanistica moderna in Giappone, Junzō Sakakura (1901-1969) e Kunio Maekawa (1905-1986), lavorarono nello studio di Le Corbusier. Sotto l'occhio intrattabile del grande maestro svizzero, imparano le tecniche dell'epoca, prima di tornare nel loro Paese.

Una veduta aerea di una realizzazione iconica di Kunio Maekawa: la Tokyo Metropolitan Festival Hall (Tokyo Bunka Kaikan), progettata nel 1957 e inaugurata nel 1961. L'edificio è stato la prima sala da concerto del Giappone. I pesanti cornicioni e le sovrastrutture del tetto ricordano il lavoro di Le Corbusier, per il quale Maekawa aveva precedentemente lavorato.
© archeyes

Un'altra vista del Tokyo Bunka Kaikan. Una struttura in cemento armato tipica dello stile "Le Corbusier" dell'epoca. Per inciso, proprio accanto alla sala sorge il Museo Nazionale di Arte Occidentale, progettato dallo stesso Le Corbusier.
© archeyes

Tokyo Bunka Kaikan, architetto: Kunio Maekawa, 1957. Vista dell'interno dell'edificio, l'onnipresente cemento grezzo.
© archeyes

Fu, infatti, Junzō Sakakura a suggerire a Charlotte Perriand di diventare consulente per il design dell'arte decorativa presso il Ministero del Commercio giapponese. Avventurosa, la Perriand non esita e raggiunge il Giappone nel 1940. Dalla sua avventura giapponese, Perriand trarrà ispirazione dal DNA giapponese del design per progettare, al suo ritorno in Francia, pezzi di arredamento che sono diventati un cult.

Sedia Umbra Tokyo, design : Charlotte Perriand, 1954. Un pezzo leggero e impilabile direttamente ispirato alle arti tradizionali del Giappone, in particolare all'arte di piegare (Origami), un design molto puro.
© ambientedirect

Libreria 526 Nuage, design: Charlotte Perriand. In Giappone, gli arredi per la casa nascono da elementi semilavorati di recupero: stuoie di tatami, porte, pareti divisorie... Questo pezzo evoca le tradizionali porte scorrevoli note come "shôji" in Giappone e l'arte di ottimizzare lo spazio interno.
© winkdeco

Qual è dunque il DNA del design giapponese? È in gran parte contenuto nel movimento Mingei (letteralmente movimento di arte popolare) lanciato nel 1925 e teorizzato dallo scrittore, pensatore e collezionista giapponese Sōetsu Yanagi (1889-1961). Ispirato al movimento inglese Arts Crafts, il Mingei rivendica il recupero delle tradizioni e la bellezza degli oggetti di uso quotidiano, realizzati in ceramica, legno, lacca, ferro, cesteria e tessuti.

Esclude ogni artificio decorativo e di lusso, a favore di un oggetto "naturale, sincero e sicuro". Il design giapponese combina quindi l'artigianato tradizionale (bambù, legno, lacca) con l'espressione di una bellezza chiara, pura e semplice. In questo senso, il design giapponese assomiglia all'approccio scandinavo al design dell'epoca, senza il lato "accogliente" e caldo.

"White Bottle" (vaso) in gres (tecnica di smaltatura) di Shōji Hamada (1894-1978), 1965, uno dei più famosi ceramisti giapponesi appartenenti al movimento Mingei. Purezza ed eleganza...
© oxfordceramics

Piatto in gres di Shōji Hamada (1894-1978). In Giappone, la ceramica è un'arte importante. Shōji Hamada è stato insignito del titolo di Tesoro Nazionale Vivente del Giappone nel 1955.
© oxfordceramics

"Fishing Boats", 1958. Kimono, garza di seta tinta a stencil, artista: Keisuke Serizawa (1895-1984). Quest'ultimo è un pittore di tessuti, designer tessile. Nel 1956 è stato nominato Tesoro Nazionale Vivente del Giappone per il suo metodo katazome di tintura a stencil. Faceva parte del movimento Mingei.
© pinterest

Altre due figure di spicco del design giapponese sarebbero gradualmente riuscite a coniugare le antiche tecniche artigianali giapponesi con i nuovi processi innovativi sviluppati in Occidente. Si tratta di Sōri Yanagi (1915-2011), figlio di Sōetsu Yanagi, i cui famosi sgabelli Butterfly ed Elephant hanno fatto il giro del mondo, e di Isamu Noguchi (americano-giapponese, 1904-1988), noto a livello internazionale per le sue lampade Akari, vere e proprie sculture di luce, e per il suo Coffee Table.

Sgabello "Butterfly", design di Sōri Yanagi, 1954, pubblicato da Vitra. Lo sgabello è realizzato in acero o palissandro ed evoca le ali di una farfalla. Il Butterfly combina l'essenza del design giapponese: la purezza e la ricerca del gesto "organico", unite alla tecnica di piegatura utilizzata da Charles e Ray Eames.

Sedia di Sōri Yanagi. Una sedia bella e semplice, ma pratica, realizzata da Hida Sangyo, stimato produttore di mobili di Takayama, in Giappone. Hida continua a fondere l'estetica occidentale con le tecniche artigianali tradizionali giapponesi e i materiali locali.
© ookkuu

Una gamma di lampade da tavolo del designer Isamu Noguchi, pubblicata da Vitra. Isamu Noguchi ha iniziato a progettare le sue lampade "akari" nel 1951, un termine che significa chiarezza o luce. Lampade che rivisitano la tradizionale arte giapponese dell'origami (l'arte di piegare la carta).
© vitra

Un artigiano lavora a mano un modello di lampada Akari. Gli steli di bambù formano l'intelaiatura, la carta washi, ricavata dalla corteccia dell'albero di gelso, viene tagliata in strisce che vengono poi incollate alla struttura di bambù.
© vitra

Nella seconda metà del XX secolo, i designer giapponesi si allontanarono poco dalla tradizione artigianale giapponese e si ispirarono al modernismo occidentale. Lo stile organico scandinavo è ancora una fonte di ispirazione, così come il design italiano più radicale e colorato degli anni Sessanta. Come in Occidente, la priorità fu data allo sviluppo di un'industria in grado di produrre mobili in serie. Associato all'azienda Tendo Mokko, il designer Isamu Kenmochi (1912-1971) incarna la creazione e la definizione del design industriale giapponese.

Coppia di poltrone in cedro "Kashiwado", design di Isamu Kenmochi per Tendo Mokko, anni '60.
© 1sdibs

Coppia di poltrone in rattan, serie "Rattan Furnitures", design Isamu Kenmochi, 1958.
© gallery-wa

Sgabello "Murai" in legno, design di Reiko Tanabe (1934) per Tendo Mokko, modello creato nel 1960 e prodotto dal 1966.
© gallery-wa

Una nuova generazione di designer arrivò a rompere i codici tradizionali del design giapponese; il più creativo e audace fu senza dubbio Shiro Kuramata (1934-1981), che fece una carriera internazionale progettando mobili e architettura per esterni. Amico intimo di Ettore Sottsass, Kuramata non esitò a unirsi al Memphis Group nel 1981.

Tavolino con piedistallo "Kyoto", design di Shiro Kuramata per Memphis Milano, 1983.
© Galerie Wauthier

Lo stile Kuramata? Un disegno intriso di poesia e leggerezza, un desiderio di catturare l'"immateriale", che gli fa creare opere singolari, apparentemente molto distanti da quelle dei suoi predecessori, ma che si rifanno ad alcuni grandi principi della cultura tradizionale giapponese: sensibilità, eleganza o sensorialità. La maggior parte dei pezzi di Kuramata sono serie limitate o rare.

Poltrona "Miss Blanche", design: Shiro Kuramata, 1988. Un pezzo iconico del design di fine Novecento. Incredibile poesia per questa poltrona realizzata principalmente in plastica trasparente con petali di rosa...
© designhome

Un altro pezzo iconico di Kuramata, alla ricerca di una certa immaterialità: la Poltrona "How High The Moon" (1986). Realizzata in traliccio metallico, l'opera crea giochi di trasparenze, ombre e luci.
© Galerie Wauthier

Della generazione di Kuramata, ci furono altri che osarono creare mobili originali e audaci: Masanori Umeda (1941), che partecipò anche all'avventura di Memphis, Toshiyuki Kita (1942), la cui influenza creativa si estese fino a diventare internazionale, Arata Isozaki (1931), e Kazuhide Takahama, che produsse per alcuni dei più grandi editori: Knoll, Gavina, BB Italia, ...

"Ginza Robot cabinet", design: Masanori Umeda per Memphis Milano, 1982. Laminato su cartone pressato, cromo: un mix di materiali tipico dello stile Memphis.
© artsy

La chaise longue "Wink 111" per Cassina, design: Toshiyuki Kita, 1980. Un bel look per questa seduta con posizione regolabile. La struttura è in acciaio, il rivestimento in poliuretano espanso senza CFC e ovatta di poliestere.
© architonic

Sedia "Marilyn", design : Arata IsoZaki, 1972. Una bellissima sedia ad arco in legno e poliuretano, un omaggio alle curve sensuali di Marylin Monroe...
© ideat.thegoodhub

Sistema di divani "Suzanne" di Kazuhide Takahama per Knoll, 1968.
© ideat.thegoodhub

A uno sguardo più attento, il design giapponese contemporaneo rimane vibrante e creativo. Nati dopo il 1950, Tomoyuki Sogiyama (1954), Shin Azumi (1965), Tokujin Yoshioka (1967) e il più giovane Oki Sato (1977) incarnano la successione giapponese a cavallo del XXI secolo. Il che, alla fine, non è sorprendente per un Paese i cui mercati sembrano condannati all'innovazione permanente.

Sgabello da bar "Lem" di LaPalma, design: Shin Azumi Tomoko Azumi, 2000.
© lamercanti
Vaso "Blossom", design Tokujin Yoshioka per Louis Vuitton.
© louisvuitton

2 funzionari svelano la fiamma olimpica rosa-oro dei Giochi di Tokyo disegnata dal designer Tokujin Yoshioka.
© huffingtonpost

Una sedia Manga di Nendo, lo studio del designer giapponese Oki Sato.
© twitter

"Manga Chair #47", design: Oki Sato per Nendo, 2015. Oki Sato è il leader della nuova generazione di design giapponese.
© ideat.thegoodhub

François Boutard

Condividi

Aggiungi un commento